Guardando le foto d’epoca ci coglie sempre un po’ di nostalgia. Sarà un certo affioramento dei ricordi, sarà l’evaporazione del tempo, saranno i soggetti ormai figli della storia. Ma c’è anche una particolare caratteristica, che spicca su tutte, ossia quei bronci sconsolati e quelle espressioni serie ed austere, con le quali le persone si mostravano.

Ora, visto che la fotografia è una forma d’arte e, come tale, ci trasmette uno spaccato del mondo passato, il dubbio sorge spontaneo: perché nelle pose d’epoca traspariva, quasi sempre, una certa tristezza sociale?

In effetti, nei vecchi album di famiglia e nelle foto di un tempo non ci sono quasi mai soggetti che sorridono, ma presentano espressioni cupe e volti accigliati, come se ci fosse sempre un buon motivo per tenere il broncio.

In realtà, c’erano tutta una serie di questioni dietro quelle espressioni che, oggi, tanto ci colpiscono: partendo dall’asservimento ideologico, che arrivava dalla pittura, passando per la tecnologia, con tutti i limiti della fotografia dell’epoca, fino ad arrivare alle anguste credenze sociali.

Facciamo quindi, un salto indietro nel tempo, in quanto, la questione delle facce serie risale a ben prima dell’arrivo delle macchine fotografiche.

Basta fare anche solo una visita nelle gallerie d’arte per trovare pochissimi dipinti di soggetti che sorridono, a bocca larga, e certamente quasi mai un nobile, un re, un imperatore o un mercante.

Questo perché, anche solo nell’arte del Cinquecento e del Seicento, i sorrisi erano relegati alle rappresentazioni delle classi sociali più umili. Un soggetto che sorrideva era visto come un personaggio ambiguo, quasi sempre povero,  scostumato, spesso ubriaco e comunque volgare.

Inoltre, il dipinto a mano non voleva essere una mera rappresentazione realistica, ma piuttosto un’idealizzazione del soggetto. Per questa ragione, i sorrisi erano spesso evitati poiché i ritratti o le immagini di famiglia sarebbero rimasti, per sempre, su quelle tele.

E anche quando, un paio di secoli dopo, comparve la fotografia, questa rimase a lungo in posizione di asservimento rispetto alla pittura. I primi scatti erano emersi già agli inizi dell’Ottocento con la riproduzione di solo paesaggi, perché immobili, e solo successivamente si passò ai ritratti e alle prime foto di famiglia.

Tuttavia, ciò che valeva per dipinti era stato trasbordato anche per gli scatti fotografici: non si doveva sorridere. E infatti, per un altro secolo, la fotografia condivise la medesima serietà dei ritratti pittorici, con quei caratteristici volti lunghi ed avviliti.

Anche in questo caso, la credenza sociale era rimasta tal quale: un sorriso non celato veniva ancora considerato mancanza di classe, di serietà e di stile, per questo era buona prassi trattenersi.

Ma, c’era anche un’altra verità, legata al meccanismo di quelle enormi macchine fotografiche, che pare spaventassero i soggetti. La maggior parte delle persone, infatti, non aveva alcuna familiarità con queste nuove diavolerie  tecnologiche che, inspiegabilmente, riuscivano ad imprimere su lastre fotosensibili immagini della realtà. Probabilmente, il tutto doveva apparire come una sorta di processo misterioso, quasi infernale.

Inoltre, scattare una foto era anche faticoso perché richiedeva molto tempo, sia per la preparazione che per quegli infiniti tempi di esposizione. Ciò significava che i soggetti dovevano restare immobili e, per questo, sarebbe stato quasi impossibile mantenere una posa fissa, per di più, sorridendo in modo stabile.

Consideriamo che potevano essere necessari anche trenta minuti di posa per una singola fotografia, senza includere i tempi di preparazione della scena con le sue ricercate condizioni di luce. Un’eternità se confrontati agli attimi di scatto per un selfie di oggi.

Questo significava che, per realizzare un ritratto, il soggetto doveva rimanere immobile per tutto il tempo necessario. Tanto è vero che venivano utilizzati anche dei supporti, appositamente strutturati, per mantenere ferma la testa e prevenire qualsiasi movimento durante il click. Per cui, immaginiamo quanto poteva essere avventato aggiungerci anche il sorriso, con il rischio di buttare tutto.

Sì, perché anche i costi della pratica erano molto elevati. Per questo, essere fotografati diventava un’occasione unica e non ci si poteva permettere il lusso di fare l’estroverso davanti all’obbiettivo, poiché il numero di scatti possibili era limitato e dovevano essere sfruttati al massimo per non sprecare nulla.

Infatti, le fotografie venivano utilizzate solo per immortalare momenti solenni, matrimoni o funerali, in cui sorridere non era appropriato, oppure per scopi formali, come documenti ufficiali e cartelle di identità. E, anche qui, era considerato più professionale mantenere un’espressione seria e concentrata.

 Inoltre, c’era anche un’altra questione legata all’estetica. L’igiene orale dell’epoca, infatti, non era allo stesso livello di quella di oggi, per questo molti soggetti preferivano non mostrare i propri denti. Ricordiamo che eravamo negli anni in cui le cure dentistiche non erano proprio accessibili a tutti, meglio quindi non evidenziare lo scarso riguardo e nascondere denti storti o, addirittura, assenti. Per questo diventava l’ideale tenere la bocca chiusa, a costo di mostrare musi lunghi.

Questo almeno fino al primo Dopoguerra quando, negli scatti, iniziarono a prevalere sorrisi sociali ed espressioni di felicità condivisa. Il tutto, anche grazie ad una maggior accessibilità alla fotografia, riduzione dei costi dei materiali ed accesso a tecnologie sempre più all’avanguardia. Questo portò, alla possibilità di scattare più fotografie contemporaneamente ed avere, quindi, un’alternativa alla foto seria, che fino ad allora era rimasta comunque la più diffusa.

Ma oltre al progresso, anche la cultura diveniva sempre più popolare, senza quel bisogno di esprimere magnificenza e solenne serietà. Tutti processi che, gradualmente, portarono ad una riduzione di quegli stereotipi che, a lungo, avevano condizionato i sorrisi sui volti, portando le masse a cogliere sempre di più l’attimo, in una nuova ottica di democratizzazione del sorriso. MG

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