Un italiano su due è su Facebook, ma non è finita perché, nel mondo, siamo anche quelli più connessi ai social network. In Italia, quindi, ci sono sempre più cyber-navigatori da effetto “mi piace”. In pochissimi anni il web ci ha cambiato la vita, ma ci ha reso anche più vulnerabili. Rapporti di studio e monitoraggi costanti fotografano una nazione dove la penetrazione di Internet tra la popolazione è in continua crescita arrivando oggi al 62% contro il 27,8% del 2002. Grande traino per la diffusione del web sono proprio i social network: il 66,6 % delle persone che hanno accesso a Internet, infatti, sono iscritte a Facebook e fra i giovani arriviamo al 79,7%. Oltretutto siamo anche i più connessi a questi social: nella fascia tra i 25 e i 35 anni, gli internauti stanno in linea circa 6 ore e mezza al mese contro le 6 ore degli americani, le 4 ore della Germania e le 2 ore e mezza dei giapponesi. Quindi più che una moda Facebook potrebbe essere valutato anche come sorta di dipendenza: un bisogno di connessione per ricreare relazioni e tamponare bisogni di nuove identità. Quasi non si riuscisse più a vivere senza essere social, senza essere alla moda. Ma a questo punto non si può parlare più di moda, ma “interrealtà” dove diventa d’obbligo divulgare emozioni, raccontare giornate, informare su incontri speciali e dare risalto ad ogni fase della vita: dal lavoro, all’amore fino al matrimonio e divorzio compreso. Ma per qualcuno è anche l’occasione per isolarsi dal reale, per altri un gioco di spie dove trafugare nelle vite ed esistenze altrui in un navigare senza mostrarsi per altri ancora è il godere di una realtà dove non c’è distinzione tra il vero e il virtuale, dove c’è l’illusione delle facili conoscenze, di agevoli contatti sociali e di false amicizie. Sociologicamente si tratta di un vero e proprio fenomeno di disimpegno interpersonale, con individui in contatto fra loro in maniera superficiale e priva di basi affettive reali. Per questo Facebook e gli altri networks sociali funzionano: perché mascherano le personali ansie, preoccupazioni, sbalzi d’umore e il proprio senso di disistima e di solitudine spesso presente nel mondo reale. In tal modo le richieste di nuove amicizie risultano quasi un riempimento, una conferma e un rafforzamento del proprio ego. Tuttavia questo successo globale dei social dovrebbe indurci ad una riflessione più profonda, visto che a volte possiamo persino parlare di dipendenza da mouse e tastiere. Infatti, il trascorrere di troppe ore al giorno, su Facebook, sottraendo tempo alla vita reale, alle amicizie concrete, al lavoro e a se stessi, non può essere certo considerato un comportamento accettabile. Gli angloamericani lo definiscono «Social network addiction», ossia dipendenza da connessione, da aggiornamento e controllo della propria pagina web, del proprio stato di connessione e dei livelli di amicizia virtuale. In pratica scattano nella mente degli internauti molle psico-emotive personali ed interpersonali che si basano su qualcosa di virtuale, dando autostima fittizia, che ben presto portano a pericolosi sintomi di isolamento sociale e conseguente intaccamento delle principali sfere vitali reali come quelle del lavoro, della famiglia e degli affetti. L’essere attratti da Facebook o dai social a livello generale è un problema che interessa maggiormente i giovani, soprattutto in età adolescenziale. Anche lo “Psychological Reports” ha pubblicato i risultati di una ricerca che evidenzia come la dipendenza da queste nuove forme di interazione sia assai comune fra gli studenti, tra le persone più ansiose e socialmente insicure e tra le donne. Riescono a gestire meglio il loro rapporto con Facebook, senza quindi farsi sopraffare, gli adulti, le persone più ambiziose e quelle maggiormente organizzate. Quindi la prima strategia di difesa che possiamo usare è quella di chiederci cosa ci facciamo su Facebook e qual è il suo valore nella nostra vita, soprattutto quando pensiamo di aver un po’ esagerato nell’uso. Insomma cerchiamo di contrastare in qualche modo questa cyber-calamita altrimenti rischiamo di rovinare, in modo irreparabile, la nostra vita. Sì, ma quella reale.
MG

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