Le donne soffrono più degli uomini.
Non solo metaforicamente, a causa della loro conosciuta sensibilità o per quelle questioni di empatia in rosa ma, a quanto pare, anche quando si parla di sofferenza fisica. Per questo sembra esistere un’afflizione di genere. Sarà certamente una questione biologica oppure sarà che per le donne il dolore si presenta a livello ciclico tra flussi mestruali e ovulazioni. Pensiamo anche solo alla magia della “prima volta”, al percorso della gravidanza, quando in un corpo convivono due cuori e due mondi. Oppure, ancora, al miracolo del parto: tutti momenti di rivoluzione e gioia, quasi sempre armonicamente miscelati a sensazioni dolorose.
Anche la scienza, oggi, ci conferma che uomo e donna lamentano dolori diversi a livello anatomico.
L’algologia ha scoperto che nel sesso femminile sono presenti più sindromi dolorose e malattie infiammatorie per effetto degli ormoni sessuali che interessano le difese immunitarie.
Quindi queste differenze, nei circuiti modulari del dolore, vengono spiegate da diverse predisposizioni anatomiche, biologiche ed ormonali rinchiuse nella complessità di genere.
In effetti è vero: il dolore cronico colpisce una porzione sensibilmente più elevata di donne. Recenti studi, sono andati anche oltre dimostrando che le donne riescono a sopportare meglio il dolore perché più propense a dimenticare le esperienze dolorose stesse. È come se volessero scacciarle dalla memoria, liberandosene quanto prima. E così le troviamo indaffarate a pulire casa o gestire situazioni di lavoro mentre cercano di assecondare dolori e fastidi. Oppure mentre stringono i denti simulando di stare bene per non darla vinta all’acciacco.
E proprio grazie a questa naturale strategia di accantonamento le donne riescono ad esprimere maggior felicità e passione quando vivono il tempo della letizia ed affrontare con audacia e fermezza il tempo della tribolazione.
Ma il concetto del dolore è legato anche a componenti socio-culturali.
Se ci pensiamo, nell’immaginario collettivo, infatti, la figura del dolore sembra essere maggiormente connessa alla legittimità femminile, in quanto una donna può mostrarsi vulnerabile e volta alla lamentela o alla sofferenza. A differenza dell’uomo che non è culturalmente digeribile quando non riesce a rispondere adeguatamente al dolore, perché rischia di intaccare quell’immagine forte e robusta della mascolinità.
In effetti, questa convivenza femminile, di gioie e dolori, è forse figlia di un processo che germoglia già in tenera età con l’identificazione e i conseguenti comportamenti additivi.
Generalmente, le bambine sono in costante relazione con la figura della mamma, con la quale tendono a identificarsi e con la quale avviene un costante scambio di emozioni, sentimenti e tensioni.
E, anche quando crescono, tendono sempre a restare attaccate alla figura materna, in una costante relazione e condivisione emotiva. Sorte, spesso, diversa per il figlio maschio. Diventa quindi normale, per loro, condividere i dolori emotivi imparando, già da piccole, a gestire anche quelli fisici.
Nel dialogo femminile, sia interno che esterno, c’è poi la necessità di raccontare e di condividere emozioni e vissuti, soprattutto quelli dolorosi. E così la donna riesce già a trovare sollievo anche solo con lo sfogo verso un’amica. Proprio perché riesce ad esprimere con facilità ciò che prova e così facendo riesce a stimolare anche un’inconscia riflessione che ne facilità l’elaborazione interiore.
Alla fine la donna ha ragione, perché riuscendo a lasciarsi alle spalle le situazioni dolorose può dare spazio alla dolcezza, nella totalità del cuore. MG
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