L’arte dell’attesa pare proprio essere femminile.

Sembra che il maschio, forse spinto da un animo più seducente, non voglia perdere tempo e spazio nel raggiungere i propri obiettivi. Come se tra pensiero e bersaglio non debba mettersi nulla in mezzo.

Probabilmente interpreta male il concetto di attesa confondendolo con pigrizia, insuccesso o debolezza. Ma sbaglia.

La donna, invece, pare essere più portata ad attribuire giusto valore all’attimo, riesce a godere del tempo con consapevolezza e profondità. Per questo è generalmente più paziente, sa attendere.

In effetti, chi più di Penelope ha avuto l’ammirevole capacità di vivere il tempo dell’attesa?

Sembra, quindi, che donna e uomo affrontino una rielaborazione diversa del tempo, quasi non guardassero lo stesso orario dal polso.

Potrebbe essere un qualcosa collegato al ciclo oppure alla magia della maternità. Qualcosa che convive con una strato più profondo, una diversa dimensione.

Saranno stati gli insegnamenti delle nonne, tanto sensibili ai segni della natura: «Ricordati che il frutto, prima di essere colto dovrà maturare», dicevano. Certo, perché l’attesa è necessaria anche in natura. Quasi esistesse un collegamento tra l’invenzione umana delle lancette e la logica del dono legata al creato. «Solo così potrai ottenere frutti saporiti», concludevano le anziane.

Ma è già da bambina, che la donna sembra apprendere il valore della pazienza sebbene non sia proprio roba che appartenga ai bambini.

Esse attendono, con tolleranza, la mamma che arriva a prenderle a scuola, la torta alle mele che lievita in forno per fare merenda, attendono la sera che rincasi papà, magari aspettandosi un: “Brava la mia bambina”.

Poi, nel crescere continua l’attesa per il voto dalla prof, l’esito di un esame, il treno alla stazione, lo scatto del semaforo. Difficilmente la donna si lamenta. Forse giudica, ma poi ritorna in quello stato di attesa che è quasi sempre speranza più che sete di mancanza.

Ed ecco che attende anche il ragazzo giusto. Alcune di loro imparano ad amare, prima, ciò che stavano attendendo e, solo dopo, colui che arriverà. Altre, infine, troveranno quell’amore tanto sperato, atteso.

Poi diranno: “Ecco, questo è l’uomo che stavo aspettando”. Eppure lui non è più maturo degli altri e, magari, non è nemmeno più affascinante, però è colui che si è concretizzato con l’attesa, ha chiuso il cerchio, ha creato quel senso di completezza.

Andando avanti la donna acquisisce sicurezza in amore ed è qui che prova ad invertire i ruoli. Ecco perché le piace farsi aspettare. Anche se, in verità, non interrompe mai quel rapporto intimo con la sensazione sospesa, con l’attesa.

Ed è così che di nuovo si ritrova ad aspettare l’anello, un regalo, un ti amo, il matrimonio. Poi è la volta del tempo della dolce attesa. La donna si adegua alla lentezza della natura. In gravidanza tutto si svolge tra quiete e riflessione. Sempre lentamente si modifica il corpo.

Poi la nascita e la neo mamma che attende, ancora. Aspetta che il dolore si plachi, aspetta il primo piccolo abbraccio, per poi riposarsi.

Il tempo passa, ma sempre nell’amore dell’attesa. La mamma aspetta che le torte di compleanno lievitino in forno ed eccola paziente che si avvicina al cancello della scuola. I figli poi andranno all’università, la convivenza, poi il lavoro, ma ci sarà sempre una mamma ad attenderli ed un piatto caldo in tavola.

Infine, spuntano i capelli bianchi, si osserva la famiglia che cresce e tutto sembra rallentare.

Si valuta sempre più la vita dalla prospettiva di un letto, una poltrona o una sedia. Ed è l’attesa anche del tempo per le preghiere sussurrate. Si attribuisce sempre più valore al presente e alla salute, rivalutando consapevolmente ogni singolo attimo, ma sempre nell’attesa. Nell’attesa di una telefonata, di una visita o di un abbraccio. MG

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