Il tutto parte da un semplice complimento spinto da mal celata invidia, da gelosia o da una morbosa attrazione amorosa. A volte è una lusinga espressa con parole, mentre altre volte possono bastare gli sguardi. Nel bene e nel male, ovviamente.

La spinta può arrivare da un semplice pensiero di sorpresa, un incanto verso le virtù, le doti o le fortune che riconosciamo in una data persona oppure, a prevalere, può essere un desiderio di vendetta o smania morbosa verso colei o colui che abbiamo rinchiuso nel nostro cuore.

Ovviamente, valgono anche gli incantesimi d’amore. Così come quando un uomo è follemente innamorato di una donna tanto da desiderarla intensamente ecco che contro lei può scattare l’affàscino.

Parliamo di una sorte di malocchio che porta con se fastidiosi sintomi psico-fisici quali insopportabili mal di testa, dolori addominali, nausea e sonnolenza unite ad una serie negativa di vicende quotidiane che sembrano prendere tutte una piega sbagliata. Per questo diventa necessario un rito propiziatorio proprio come vuole la tradizione.

Si tratta, quindi, di un particolare sortilegio, raggrovigliato tra sacro e profano, tra religione e tradizione, che si traduce in questa particolare pratica denominata dell’affàscino.

Il termine arriva dal latino fascinum, con il significato di maleficio o fattura, ossia un qualcosa che si seduce con il malocchio. Ma esiste anche il termine fascinar che si rifà al catalano con il significato di malia, anche se l’origine etimologica dell’affàscinu è rintracciabile pure in diverse zone del sud Italia.

Pare sia nata nei contesti rurali di un tempo, tra la povertà contadina, per poi diventare credenza e prendere forza unendosi al valore del culto, al sacramento e alla venerazione tipica delle processioni di contrada.

E tra i numerosi rituali tramandati, quello dell’affàscino è probabilmente quello più ammaliante perché interessa l’amore, l’invidia ed i malefici. Questo perché, dietro al mendace elogio lanciato da chi affascina, è celato quasi sempre un sentimento, un impulso. Ma se il termine affàscino fa riferimento alla iettatura, c’è anche l’espressione fare l’affàscino che rimanda al rito per scacciarla.

Questa mansione spettava alle donne più anziane del paese, a quell’anello della catena che da sempre viene tramandato di generazione in generazione.

Così, una volta accusati i sintomi dell’affàscino lo sfortunato soggetto, donna o uomo che fosse, andava a bussare alle porte di queste pie donne. In una prima fase, si provava ad allontanare il malocchio con il cuntraffàscinu, cucendo nelle sottane o nelle mutande una vurza, ossia una piccola tasca in stoffa entro la quale venivano poi riposte delle immagini sacre e del sale grosso. Questo, per chi le indossava, poteva già servire ad espellere quelle forme leggere di iettatura.

Oppure, sempre per esorcizzare ogni paura, si consigliava di affiggere sull’uscio della casa dell’affascinato alcuni amuleti e talismani pronti a destituire le forze del male.

Ma quando questi sortilegi non bastavano, allora, bisognava dare inizio ad un vero e proprio rito di sfascinamento. Si parla di un cerimoniale che poteva svolgersi in casa, nel cortile o in piena campagna, l’importante è che il tutto doveva essere consumato nella massima tranquillità ed in uno spirituale silenzio.

Nella prima parte del rito, la sfascinatrice si metteva davanti all’affascinato segnandolo sulla fronte, con varie croci tracciate con il pollice della mano destra.

Successivamente, veniva dato il via ad un teatrale cerimoniale di guarigione usando acqua, sale ed olio.

L’acqua veniva versata in una bacinella di porcellana, lasciando cadere, per tre volte, tre chicchi di sale grosso in tre punti diversi. Infine, si cominciava a versarne l’olio. Il tutto miscelato da un continuo bisbiglio di orazioni ed invocazioni segrete.

A questo punto bisognava solo attende le mosse del tempo: se l’olio fosse rimasto a galla significava che il malocchio era leggero e recente, quindi facilmente gestibile nell’allontanarlo.

Se, invece, la sostanza untuosa si fosse estesa in modo anomalo allora l’affàscino era confermato. In entrambi i casi, bisognava comunque continuare con il cerimoniale.

Così dopo aver pronunciato la formula: Lure t’affàscene i je te sfàscene l’anziana bisbigliava verso il cielo tre Padre Nostro, tre Ave Maria e tre Gloria più un’altra implorazione dal contenuto segreto che avrebbe dovuto scacciare definitivamente la fascinazione. Questi passaggi erano scanditi da una lacrimazione crescente e da un’infinità di sbadigli.

Se questi riflessi respiratori sopraggiungevano all’inizio, mentre la pia donna recitava il Padre Nostro, allora significava che il malocchio era stato lanciato da un uomo, mentre quando il primo sbadiglio arrivava durante l’Ave Maria, allora significava che la iettatura l’aveva trasmessa una figura femminile.

Terminato il rito, la bacinella in porcellana contenete la miscela “magica” veniva vuotata all’aperto, in mezzo ad una strada sterrata, possibilmente dove due carrozzabili si intersecavano formando una croce (“crucivia”). Dovevano, ovviamente, essere passaggi poco trafficati per evitare che il malocchio potesse contagiare anche altri.

A questo punto, il soggetto sfàscinatu, ormai “libero”, doveva solo aspettare, con pazienza, il momento in cui i suoi fastidiosi sintomi gli avrebbero regalato sollievo.

Per quanto riguarda le nonnine, invece, tornavano a casa silenziose e senza ricevere compensi. Questi, infatti, non erano previsti nel rito.

Inoltre, queste pie donne potevano praticare l’affàscino, ma non potevano divulgarne segreti e formule che erano state tramandate loro oralmente. L’usanza, infatti, permetteva che questo tipo di incanto potesse essere trasmesso solamente a tre persone e solo nel corso di tre feste comandate: il Natale, quando Gesù nasce; il Venerdì Santo, quando il Cristo viene messo in croce e la Pasqua di Resurrezione.

Anche in questo caso ritroviamo riferimenti al numero tre, così come in buona parte del rito, in quanto si rifà, probabilmente, all’invocazione della Trinità divina, dottrina fondamentale del Cristianesimo.

Inutile dire, però, che la Chiesa Cattolica ha sempre preso le distanze da questi cerimoniali che, comunque, sono riusciti ad arrivare fino ai giorni nostri, nonostante le barriere e le continue metamorfosi sociali e culturali.

Forse è proprio vero: il cambiamento non sostituisce la tradizione, anzi la rafforza. Per questo oggi, abbiamo ancora tanto bisogno di ancorarci agli antichi riti. MG

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